Descrizione
Il Fico d’India, chiamato anche ficodindia, è una pianta succulenta appartenente alla famiglia delle Cactacee, originaria del Centroamerica ma naturalizzata in tutto il bacino del Mediterraneo, soprattutto in Italia nelle zone di Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna.
Dal Messico si diffuse tra le popolazioni del Centro America che la coltivavano e commerciavano già ai tempi degli Aztechi, presso i quali era considerata pianta sacra con forti valori simbolici. Una testimonianza dell’importanza di questa pianta negli scambi commerciali è fornita dal Codice Mendoza. Questo codice include una rappresentazione di tralci di Fico d’India insieme ad altri tributi quali pelli di ocelot e di giaguaro. Il carminio, pregiato colorante naturale per la cui produzione è richiesta la coltivazione dell’Opuntia, è anch’esso elencato tra i beni commerciati dagli Aztechi.
La pianta arrivò nel Vecchio Mondo verosimilmente intorno al 1493, anno del ritorno a Lisbona della spedizione di Cristoforo Colombo. La prima descrizione dettagliata risale comunque al 1535, ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés nella sua Historia general y natural de las Indias. Linneo, nel suo Species Plantarum del 1753, descrisse due differenti specie: Cactus opuntia e Cactus ficus-indica. Fu Miller, nel 1768, a definire la specie Opuntia ficus-indica, denominazione tuttora ufficialmente accettata.
È una pianta succulenta arborescente che può raggiungere i 4-5 metri di altezza. Il fusto è composto da cladodi, comunemente denominati pale: si tratta di fusti modificati, di forma appiattita e ovaliforme, lunghi da 30 a 40 cm, larghi da 15 a 25 cm e spessi 1,5-3,0 cm, che, unendosi gli uni agli altri formano delle ramificazioni. I cladodi assicurano la fotosintesi clorofilliana, vicariando la funzione delle foglie. Sono ricoperti da una cuticola cerosa che limita la traspirazione e rappresenta una barriera contro i predatori. I cladodi basali, intorno al quarto anno di crescita, vanno incontro a lignificazione dando vita ad un vero e proprio fusto.
Le vere foglie hanno una forma conica e sono lunghe appena qualche millimetro. Appaiono sui cladodi giovani e sono effimere. Alla base delle foglie si trovano le areole (circa 150 per cladode) che sono delle ascelle modificate, tipiche delle Cactaceae.
Il tessuto meristematico dell’areola si può differenziare, secondo i casi, in spine e glochidi, ovvero può dare vita a radici avventizie, a dei nuovi cladodi o a dei fiori. Da notare che anche il ricettacolo fiorale, e dunque il frutto, è coperto da areole da cui si possono differenziare sia nuovi fiori che radici.
Le spine propriamente dette sono biancastre, sclerificate, solidamente impiantate, lunghe da 1 a 2 cm. Esistono anche varietà di Opuntia inermi, senza spine.
I glochidi sono invece sottili spine lunghe alcuni millimetri, di colore brunastro, che si staccano facilmente dalla pianta al contatto, ma essendo muniti di minuscole scaglie a forma di uncino, si impiantano solidamente nella cute e sono molto difficili da estrarre, in quanto si rompono facilmente quando si cerca di toglierle. Sono sempre presenti, anche nelle varietà inermi.
L’apparato radicale è superficiale, non supera in genere i 30 cm di profondità nel suolo, ma di contro è molto esteso.
I fiori sono a ovario infero e uniloculare. Il pistillo è sormontato da uno stimma multiplo. Gli stami sono molto numerosi. I sepali sono poco vistosi mentre i petali sono ben visibili e di colore giallo-arancio.
I fiori si differenziano generalmente sui cladodi di oltre un anno di vita, più spesso sulle areole situate sulla sommità del cladode o sulla superficie più esposta al sole. All’inizio, per ogni areola, si sviluppa un unico fiore. I fiori giovani portano delle foglie effimere caratteristiche della specie. Un cladode fertile può portare sino a una trentina di fiori, ma questo numero varia considerevolmente in base alla posizione che il cladode occupa sulla pianta, alla sua esposizione e anche in base alle condizioni di nutrizione della pianta.
Il frutto è una bacca carnosa, uniloculare, con numerosi semi (polispermica), il cui peso può variare da 150 a 400 g. Deriva dall’ovario infero aderente al ricettacolo fiorale. Il colore è differente a seconda delle varietà: giallo-arancione nella varietà sulfarina, rosso porpora nella varietà sanguigna e bianco nella muscaredda. La forma è anch’essa molto variabile, non solo secondo le varietà ma anche in rapporto all’epoca di formazione: i primi frutti sono tondeggianti, quelli più tardivi hanno una forma allungata e peduncolata. Ogni frutto contiene un gran numero di semi, nell’ordine di 300 per un frutto di 160 g. Molto dolci, i frutti sono commestibili e hanno un ottimo sapore. Una volta sbucciati e privati delle punte si possono tenere in frigorifero e mangiare freddi.
In Europa la pianta oltre che per i suoi frutti, suscitò attenzione quale possibile strumento per l’allevamento della cocciniglia del carminio, ma si dovette aspettare sino al 1800 perché il tentativo avesse successo nelle isole Canarie. Agli inizi restò pertanto una curiosità da ospitare negli orti botanici. Da qui si diffuse rapidamente in tutto il bacino del Mediterraneo dove si è naturalizzata al punto di divenire un elemento caratteristico del paesaggio.
La sua diffusione si deve agli uccelli, che mangiandone i frutti ne assicurano la dispersione dei semi. In nessun’altra parte del Mediterraneo il ficodindia è diffuso come in Sicilia e Malta, dove oltre a rappresentare un elemento costante nel paesaggio naturale, è divenuto anche un elemento ricorrente nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne in un certo qual modo il simbolo. Le pale raccolte in Sardegna furono portate anche in Eritrea per introdurre la coltivazione a fini alimentari. La qualità sarda tra l’altro è nota per non avere spine.
Il Fico d’India ha una grande resistenza alla siccità e al tempo stesso una grande produttività di biomassa nonché di riserva di acqua. Anche la presenza di radici superficiali e disposte su ampia superficie è un adattamento che consente la sopravvivenza anche in zone con precipitazioni piovose di modesta entità. La pianta inoltre, analogamente alle altre Cactacee, è dotata di un particolare metabolismo fotosintetico, che consente l’assimilazione dell’anidride carbonica e la traspirazione durante la notte, quando la temperatura è più bassa e l’umidità più alta. Le perdite di acqua per traspirazione sono conseguentemente molto ridotte, mentre la quantità di anidride carbonica assorbita è, in rapporto all’acqua disponibile, elevata.
È una pianta resistente all’aridità che richiede temperature superiori a 0 °C per uno sviluppo ottimale. Temperature invernali prolungate al di sotto di 0 °C, pur non costituendo un fattore limitante per le piante selvatiche, deprimono l’attività vegetativa e la produttività delle piante in coltura e possono portarle al deperimento.
È una pianta molto adattabile alle diverse condizioni pedologiche. I suoli idonei alla coltura hanno una profondità di circa 20–40 cm, sono terreni leggeri o grossolani, senza ristagni idrici, e con valori di pH che oscillano tra 5.0 e 7.5. Dal punto di vista altimetrico, le superfici destinate alla coltivazione possono andare dai 150 ai 750 metri sul livello del mare.
La propagazione si attua per talea mentre la potatura si esegue in primavera o a fine estate, serve a impedire il contatto tra i cladodi, nonché a eliminare quelli malformati o danneggiati. Per migliorare la resa è opportuna una concimazione fosfo-potassica, preferibilmente organica.
La tecnica della scozzolatura, il taglio cioè dei fiori della prima fioritura, da eseguirsi in maggio-giugno, consente di ottenerne una seconda fioritura, più abbondante, con una maturazione più ritardata, in autunno. In coltura irrigua si può ottenere una resa di 250-300 quintali di frutto a ettaro.
Per la sua capacità di svilupparsi anche in presenza di poca acqua, il Fico d’India si rivela una pianta di enormi potenzialità per l’agricoltura e l’alimentazione dei paesi aridi. Ha un notevole valore nutrizionale essendo ricco di minerali, soprattutto calcio e fosforo, oltreché di vitamina C.
La risorsa alimentare più pregiata è rappresentata dai frutti, chiamati fichi d’India, che oltre ad essere consumati freschi, possono essere utilizzati per la produzione di succhi, liquori, gelatine, mostarde, marmellate, dolcificanti e altro; ma anche le pale, più propriamente i cladodi, possono essere mangiati freschi, in salamoia, sottoaceto, canditi, sotto forma di confettura. Vengono utilizzati anche come foraggio. Una farina ottenuta dalle bucce dei frutti può essere come ingrediente per la produzione di biscotti.
Se consumato in quantità eccessive può causare occlusione intestinale meccanica dovuta alla formazione di boli di semi nell’intestino crasso. Pertanto questo frutto va mangiato in quantità moderata e accompagnato da pane per impedire ai semi, durante l’assorbimento della parte polpacea, di conglobarsi e formare i “tappi” occlusivi. Per analogo motivo è sconsigliato questo frutto alle persone affette da diverticolosi intestinale.
In Sicilia si produce tradizionalmente uno sciroppo, ottenuto concentrando la polpa privata dei semi, del tutto simile come consistenza e gusto allo sciroppo d’acero, ed utilizzato nella preparazione di dolci rustici. È utilizzato anche come infuso per un liquore digestivo.
La produzione di cladodi a scopo alimentare è ottenuta da varietà a basso tenore in mucillagini selezionate in Messico. Le pale del fico d’India, spinate accuratamente e scottate su piastre arroventate di pietra o di ferro, fanno parte delle abitudini alimentari del Messico, così come di altri paesi latino-americani. Non è difficile trovarne nei mercati rionali già pronte all’uso o vendute dagli ambulanti per le strade, insieme a crema di fagioli, mais e cipolla.
Le proprietà del Fico d’India sono: astringente, emolliente, antiflogistica, cicatrizzante, riepitelizzante, diuretica, antiossidante e gastroprotettiva.
I frutti sono considerati astringenti; per la loro ricchezza in vitamina C sono stati usati in passato dai naviganti per la prevenzione dello scorbuto. I giovani cladodi, riscaldati al forno, vengono utilizzati come emollienti, applicati in forma di cataplasma. L’applicazione diretta della polpa dei cladodi su ferite e piaghe costituisce un ottimo rimedio antiflogistico, riepitelizzante e cicatrizzante su ferite e ulcere cutanee; è un vecchio rimedio della tradizione siciliana, utilizzato ancor oggi nella cultura contadina isolana. Il decotto di fiori ha proprietà diuretiche. I frutti hanno marcate proprietà antiossidanti.
L’efficacia di un estratto di Fico d’India nella cura dei postumi della intossicazione alcolica è stata dimostrata in uno studio clinico controllato. La notevole concentrazione della frazione polisaccaridica presente nei cladodi del Fico d’India, costituita prevalentemente da un polimero di galattosio, arabinosio e altri zuccheri denominato opuntiamannano, ha la capacità di legare i grassi e gli zuccheri ingeriti con risultati positivi sul metabolismo glico-lipidico e nella sindrome metabolica. Le mucillagini e le pectine presenti nei cladodi hanno dimostrato un effetto gastroprotettivo negli animali da esperimento.
In Messico il Fico d’India è utilizzato per l’allevamento del Dactylopius coccus, una cocciniglia che parassita i cladodi, da cui si ricava un pregiato colorante naturale, il carminio. I tentativi di importare l’allevamento anche nel Mediterraneo non hanno avuto successo per l’evenienza, nei mesi invernali, di temperature eccessivamente basse e di piogge frequenti che impediscono la sopravvivenza dell’insetto. L’allevamento si è affermato, invece, nelle Isole Canarie, soprattutto nell’isola di Lanzarote, dove costituisce una fiorente attività economica. In agronomia è utile per la difesa del suolo, per la realizzazione di siepi frangivento, per la pacciamatura, per la produzione di compost. In cosmetica viene utilizzato per la produzione di creme umettanti, saponi, shampoo, lozioni astringenti e per il corpo, rossetti. È utilizzata inoltre per la produzione di adesivi e gomme, fibre per manufatti e carta. Dai semi viene estratto l’olio e viene anche utilizzato per produrre miele.
Consultare sempre il proprio medico prima di assumere il prodotto per fini terapeutici.
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